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lunedì 10 dicembre 2018

RUST di Pasquale Rapicano

QUANDO DALLA RUGGINE 
NASCE LA BELLEZZA
Le opere di Pasquale Rapicano



La rinascita dalle macerie, dalla corrosione, dall'ineluttabilità del tempo, per sconfiggere la morte e offrire una nuova occasione di riscatto e di bellezza e, forse, di immortalità.
Questo è il messaggio veicolato dalle opere di Pasquale Rapicano, che realizza grandi tele in cui l'elemento formale emerge da agglomerati in cui terra, stoffe, metallo e soprattutto la ruggine, sono fondamento delle visioni artistiche di questo pittore, che sente profondamente il richiamo delle linee e dei colori, parte imprescindibile della sua stessa vita sin dall'infanzia.
Tuttavia proprio la ruggine, “Rust” il nome di una serie dei suoi dipinti, è il tema primario che diviene pretesto per il risveglio dell'incantevole e dell'eternità, che emergono prevalentemente, ma non solo, sotto forma di volti di donna.
Ecco quindi che quanto di bello e di buono, il “kalòs kài agathòs” dell'antichità greca, riprende vita e soprattutto significato attraverso le linee aggraziate e affascinanti di ragazze e cavalli, di volti noti e meno noti che, per intercessione di una profonda anima umana incorruttibile dal tempo, porgono concetti di riscatto per un mondo che sembra non imparare mai dai propri errori, reiterati nei secoli e nelle ere.



Rapicano, fortemente legato alle sue origini partenopee, ha fatto proprie le sfumature vulcaniche e calde, rendendo omaggio alla sua terra, così appassionata nelle personalità degli abitanti, ardente nel clima e nell'incandescenza vesuviana che ancora oggi, di tanto in tanto, ricorda quanto una vita sotterranea ribolla sotto una apparenza di tranquilla magnificenza.
Magnificenza che, anch'essa, ribolle tra i mali del mondo, il cui tempo scorre lineare eppure ciclico nel ripetersi delle situazioni, che sempre di più sembra sprofondare nella “ruggine” che intacca, inesorabile, ogni cosa.
Pasquale Rapicano, seguendo il sentiero della sua indole solare e densa di sfumature positive, interpreta tramite il linguaggio pittorico la sua visione costruttiva e concreta della realtà circostante, inserendo quegli elementi materici che solo apparentemente andranno distrutti dall'impietoso Crono che tutto divora, mentre in realtà essi rappresentano anche la mutazione, il “nulla si crea, nulla si distrugge” citato da Lavoisier, che è antica quanto profonda legge universale che lega ogni destino.
La particolare abilità nella comunicazione interiore e personale, caratterizzata da colori accesi rubati alla lava e al tramonto, allo zolfo e alla terra, si contrappone alle campiture più fredde, quasi vicine al bianco e nero delle figure, che tuttavia rappresentano proprio la sua capacità di mettere a nudo corpo e anima nella già citata fusione tra bellezza e bontà, in una armonica promessa di speranza immutabile.





La scelta di utilizzare poche fonti cromatiche, rende tuttavia assai potente la sua produzione creativa, in cui ogni pennellata si propone all'osservatore come una occasione per percepire il colore nel suo più alto potenziale timbrico, diventando esso stesso fonte di sensazione allo stato puro.
Nella sua costante ricerca, questo artista tralascia ogni altro elemento per dedicarsi esclusivamente al desiderio di interloquire con il futuro osservatore, cercando con quest'ultimo un coinvolgimento emotivo prima ancora che estetico, ma è proprio attraverso l'armonia estetica che lo sguardo è attratto, rapito, purificato da ogni “ruggine” preesistente.
La sua pittura, bella nella sua perfezione, è tuttavia istintuale, per lui necessaria come il respiro per la vita e in ogni quadro realizza una dimensione profonda dell'animo, condivisa con estrema generosità con chiunque desideri osservarla.
Lontano dall'astrattismo così come da un semplice figurativo, Pasquale Rapicano ne incarna entrambi gli stili, fondendo l'uno con l'altro, in un gioco di contrasti estremamente suggestivo e originale, fortemente pittorico e tuttavia plastico, materico eppure delicato.
Le sue opere, riconoscibili per il tratto ormai consolidato, si impongono nel panorama artistico come innovatrici, pur rimanendo fedeli a canoni accademici e classici che non vedranno mai tramonto, poiché legati fortemente alla stessa percezione umana dell'armonia e della simmetrica bellezza comune in ogni epoca.
Quella stessa bellezza che, parafrasando Dostoevskij, potrebbe salvare il mondo dalla corrosione.         

                                                                                                                                 Stefania Ferrari



mercoledì 22 febbraio 2017

DOMINA IN FABULA (Cattive ragazze)

DOMINA IN FABULA
(Cattive Ragazze)

Mostra collettiva d'arte dedicata a donne da favola


A cura di Stefania Ferrari



Foto: Sara Donnarumma https://www.facebook.com/briar.rose9
Modella: Marta Cabiola https://www.facebook.com/martaladyk.c.1?fref=ts

4 - 31 Marzo 2017



INAUGURAZIONE SABATO 4 MARZO ORE 17



sala espositiva HOTEL MERCURE - ASTORIA

via Leopoldo Nobili, 2 Reggio Emilia

Mostra visitabile tutti i giorni dalle 10 alle 19


Le donne sono state molto spesso protagoniste di saghe, fiabe e leggende antiche, che le hanno viste in veste di principesse, regine, maghe, fate, madri e figlie. Nell'era moderna e contemporanea, queste figure hanno perso la loro reale connotazione, edulcorate e rinchiuse nel ruolo di fanciulla da salvare, le cui uniche qualità sono la bellezza e la inossidabile virtù, ma del tutto incapaci di provvedere a loro stesse se non con l'immancabile aiuto del principe/cavaliere, che alla fine tutto risolve.
Non sempre è stato così: prima dell'arrivo dei fratelli Grimm, che riportarono in forma scritta le favole popolari, piegandole però al gusto dell'epoca, e l'avvento di Disney poi, le eroine delle antiche storie possedevano anche coraggio, desiderio di conoscenza e, perché no, di vendetta, istinto di libertà e spirito di adattamento, non per sottomissione, ma in vista della propria salvezza.
Recuperare il significato reale delle favole, insegnamento tramite il racconto di rituali di passaggio, vuol dire ritrovare oggi un valore sommerso e dimenticato della personalità femminile.
Venti artisti si sono cimentati per raccontare le storie di streghe e principesse, regine e popolane. Come nella vita reale le donne di fiabe, saghe, leggende e romanzi lottano per raggiungere sogni e maturità, superando prove che scolpiscono la loro identità.
Grazie alle esistenze avventurose e emblematiche delle eroine fantastiche, intere generazioni di bambine hanno imparato, sognato, trovato coraggio per affrontare prove reali e plasmare un migliore futuro, per sé e per intere comunità, che dal sapere e dalla pervicace volontà delle donne dipendevano.
Lungi dall'essere semplici “fanciulle in pericolo”, le protagoniste delle fiabe sono ancora, nel terzo millennio, esempio di libertà indomita e coraggiosa.


ARTISTI



Claudio Apparuti
Grazia Badari
Lisa Beneventi
Luana Biagini
Antonia Pia Bianchimani
Marisa Bottazzi
Elisa Braglia
Mirco Incerti
Anna Liberesa
Lupo
Stefano Maccaferri
Maria Cristina Martinelli
Evelina Mazzucco
Anna Paglia,
Beatrice Riva
Rusp@
Gian Domenico Silvestrone
Oscar Luca Taddei
Sabrina Veronese
Laura Zilocchi

Claudio Apparuti - La vecchia mendicante


Grazia Badari - Morgana

Lisa Beneventi - Grimelde

Luana Biagini - Vassilissa

Antonia Pia Bianchimani - Rosaspina

Marisa Bottazzi - Cappuccetto Rosso

Elisa Braglia - Morgana

Mirco Incerti - Esmeralda

Anna Liberesa - Grimilde

Lupo - Donna Contemporanea

Stefano Maccaferri - Sirenetta

Maria Cristina Martinelli - Biancaneve

Evelina Mazzucco - Grimilde

Anna Paglia - Sirene

Beatrice Riva - Rapunzel


Rusp@ - Alice

Gian Domenico Silvestrone - Emma

Oscar Luca Taddei - Psiche

Sabrina Veronese -  Loba

Laura Zilocchi - Cenerentola


Le immagini di seguito sono gentilmente concesse da Associazione Yorick per la cultura













mercoledì 30 novembre 2016

LE FANTASTICHERIE SOGNANTI DI LISA BENEVENTI

Una personale che presenta una seducente serie di dipinti, 
con il colore grande protagonista

FANTASTICHERIE SOGNANTI


Personale di

LISA BENEVENTI



a cura di Stefania Ferrari

Attraverso i colori si accede alla dimensione dei sogni, inseguendo forme nate dalla fantasia più selvaggiamente libera. Immergendosi nelle profondità della psiche e dei ricordi, rincorrendo desideri e creatività, si possono raggiungere livelli di percezione di sorprendente potenza, con il solo aiuto dell'immaginazione, miscelata con i pigmenti di una tavolozza.


2 - 31 DICEMBRE 2016


INAUGURAZIONE VENERDÌ 2 DICEMBRE ORE 17


Sala espositiva HOTEL MERCURE - ASTORIA

via Leopoldo Nobili, 2 Reggio Emilia

Mostra visitabile tutti i giorni dalle 10 alle 19





martedì 8 novembre 2016

Inaugurazione della collettiva MAI PIÙ: un grande successo

Successo per la giornata inaugurale dell'esposizione collettiva 
MAI PIÙ  
La violenza sulle donne è una ferita aperta

Molto interesse ha suscitato la mostra collettiva che ha aperto i battenti sabato 5 novembre, in occasione della celebrazione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che cade il 25 novembre.
La collettiva, curata e presentata da Stefania Ferrari, vede cinque artisti, Naide Bigliardi, Maria Grazia Candiani, Emanuela Cerutti, Maria Grassi e Nero Levrini, esporre le loro opere negli spazi dell'hotel Mercure-Astoria di Reggio Emilia.

Da sinistra: Stefania Ferrari, Maria Grassi, Nero Levrini, Emanuela Cerutti, Naide Bigliardi, Maria Grazia Candiani


Santo Domingo, 25 novembre 1960.
Tre sorelle, Patria, Maria e Antonia Mirabal, viaggiano su un'auto, di ritorno dal carcere in cui sono rinchiusi i loro mariti, rei di organizzare attività sovversive nei confronti della dittatura di Rafael Tujillo.
L'auto viene intercettata, fermata. Le occupanti fatte scendere e portate a forza in una sperduta piantagione di canna da zucchero.
Lì vengono brutalmente uccise. A bastonate. Poi caricate di nuovo sull'auto, che viene spinta in un dirupo, per simulare un incidente.
La verità verrà comunque a galla, determinando l'innesco per lo scoppio di una rivolta, che determinerà la caduta del dittatore.

Le tre sorelle Mirabal


Per ricordare la morte di queste donne, simbolo di tutte coloro che vengono ogni anno uccise, è stato scelto il 25 novembre come giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
In occasione di questa giornata, questa mostra d'arte collettiva è stata intitolata Mai più (la violenza contro le donne è una ferita aperta).

Mai più. 
E' da credere che questa affermazione sia alquanto utopica, o almeno lo sarà per parecchi decenni ancora. Tuttavia, per molte donne l'arrendersi equivarrebbe al morire lentamente, quindi le iniziative e gli appelli, in ogni modo possibile, continueranno sino a che la violenza e gli abusi sulla popolazione femminile, ovunque si trovi e di qualunque condizione, non saranno cessati e verrà riconosciuto uno stato di diritto, uguaglianza e rispetto per ogni essere umano.
Non a caso si è usata l'espressione “esseri umani”, perché per oltre cinquecento anni, secondo il cristianesimo, le donne non avevano neppure un'anima. In questo senso erano in tutto e per tutto assimilabili alle bestie.
Inculcare quindi nella morale comune, e nella legge, il concetto di donna come essere umano, non è stato immediato. A quanto pare questo processo non è finito e la strada da fare è ancora molta.
Se siamo in questa situazione nel mondo occidentale e sedicente civile, figurarsi come vadano le cose per le donne che abitano in nazioni con religioni e culture più restrittive e fallocentriche della nostra. Stupri, uccisioni e abusi di ogni genere, dalla vergogna delle spose bambine alla costrizione alla prostituzione, l'elenco sarebbe lunghissimo.
Da notare, sempre a proposito di donne e bestie, la bufala che qualche settimana fa circolava in rete, ovvero che l'Isis avrebbe ordinato lo sterminio dei gatti. L'intero popolo web è insorto, indignato più che mai, tanto che la notizia è arrivata anche ad alcune testate autorevoli, che l'hanno ritenuta autentica e rilanciata.
Ebbene, alcuni mesi fa, in giugno, diciannove donne, perlopiù giovani, sono state arse vive perché si erano rifiutate di divenire oggetto sessuale dei miliziani. La notizia è balzata appena all'occhio e ben poca indignazione ha sollevato la cosa. E' evidente, nulla togliendo ai felini, che la sorte di quelle donne, morte realmente, abbia scosso le coscienze molto meno della possibile eliminazione, fittizia, dei gatti.
Qui ci fermiamo per non polemizzare oltre e illustriamo dunque questa mostra, che non è fine a se stessa, come semplice esposizione di opere da ammirare per la loro bellezza, perché queste hanno un preciso significato e un messaggio importante da gridare, in tutta la sua potenza.
Sì è scelto di creare un percorso illustrativo che ponesse l'accento sulla forza e non sul solo essere vittima.
Le donne piangono, perché sono umane, ma hanno spesso una forza interiore insospettabile e un desiderio di reagire e ricominciare a sperare che sembrerebbe contro ogni logica.

Ci sono quattro diversi cammini, che raccontano quattro diverse storie.

Il primo, un video realizzato da Maria Grassi, che dura circa 15 minuti, diviso in due tempi. Nel primo, la storia delle donne di una intera famiglia nell'arco di un secolo (1860 – 1960), attraverso immagini fotografiche e passaggio di frasi e parole, legate allo scorrere degli anni e all'evolversi della loro vita.
Il secondo tempo vede invece come protagoniste alcune dive hollywoodiane, che spesso nascondono la loro fragilità e vite sovente segnate dalle difficoltà, dietro luci e sorrisi.

Sulla sinistra, il video realizzato da Maria Grassi, primo dei quattro percorsi espositivi


Il percorso successivo è rappresentato da una serie di opere fotografiche che prende l'avvio da quadri più luminosi, come quelli di Naide Bigliardi, per giungere a rappresentazioni più cupe, vagamente gotiche, di Emanuela Cerutti, passando da Maria Grazia Candiani e Maria Grassi.

Naide Bigliardi ha scelto il bianco e quindi la luce, perché essa è la vera forza delle sue protagoniste, che possono non avere volto. Perché la loro integrità è stata violata. Perché senza volto sono tutte le donne la cui personalità è stata rubata o distrutta, ma la luce in loro non si è mai spenta, nemmeno se sono prigioniere, in un velato cono d'ombra, che impedisce la fuga verso la libertà di corpo e di pensiero. Il loro mondo può essere stato capovolto, ma sempre troveranno un aggancio, un aiuto insospettabile per poter riemergere.

Le opere di Naide Bigliardi, che ha scelto la luminosità del bianco per esprimere la speranza


Le immagini di Maria Grazia Candiani sottolineano invece alcuni particolari del corpo femminile, soprattutto i capelli, che rappresentano una fiamma inesauribile, un'arma contro la sopraffazione e contro la tristezza e l'abbattimento. Qui la donna è un unicum con la natura, da sempre le appartiene e ne segue i ritmi ancestrali e a lei torna, per trovare conforto e coraggio. La natura non le chiede di essere diversa da ciò che è, perché sarebbe come negare l'essenza stessa del mondo.

Una delle immagini di Maria Grazia Candiani, in cui le parti del corpo femminile ritrovano unità a contatto con la maternità della Natura.


Maria Grassi ha immagini più materiche, più colme, che sembrano più vicine alla vita caotica delle città. Sono murales, sono le donne nascoste dietro i muri delle case, quelle le cui storie non emergono se non, spesso, quando è troppo tardi. Dietro quei vetri in frantumi, si nascondono vite anch'esse in frantumi e con gli sguardi chiedono aiuto, senza poter proferire parola, ammutolite come sono dal terrore. Eppure anche qui la resa non è concessa, non è proprio contemplata, perché le mani, magari di altre donne come loro, si tendono e nell'aiuto reciproco ci si risolleva. Le mani dunque, come emblema di rinascita e speranza.

I quadri materici di Maria Grassi: come murales, raccontano storie di donne


Sono splendide bambole tristi, invece, le protagoniste delle immagini di Emanuela Cerutti. Nella loro perfetta bellezza ci sono crepe, come nella porcellana che ha subito colpi, urti, cadute, capitate tra le mani di un bambino capriccioso e che si è presto annoiato di quel giocattolo, ritenendolo inadatto a passatempi virili. Eppure queste bambole attendono, con rassegnazione, un gesto d'amore, perché non comprendono tanto odio, tanta violenza verso di loro che, invece, hanno amato e ancora, nonostante tutto, amano. Sono figure tragiche, la cui salvezza rimane nell'acquistare consapevolezza del proprio valore come persona.

Le bambole tragiche di Emanuela Cerutti: donano amore anche dopo la violenza


Abbiamo poi il terzo percorso, l'angolo rosso, colore il cui significato è chiaro a tutti. 

L'installazione di Nero Levrini, unico artista uomo presente in questo consesso tutto al femminile, dimostra una particolare sensibilità, estremo rispetto e comprensione del fenomeno.
Nella sua installazione, le scarpe rosse, oggetto ormai emblema della violenza verso l'universo femminile, le catene e visi di donne con evidenti segni di abusi, sono la base di un messaggio molto chiaro di quale sia l'argomento cui si riferisce.

L'installazione emblematica di Nero Levrini


Un'altra opera di Maria Grassi non ha necessità di molti chiarimenti: la mano aperta chiede, impone, un “fermo”, un “mai più”, da parte di questa donna in primo piano, con gli occhi chiusi, per non vedere ancora una volta il suo aggressore, in una estrema difesa.

No! Sembra gridare il gesto di quella mano, nella fotografia di Maria Grassi


Rosso profondo, come il sangue versato, nell'opera di Maria Grazia Candiani, in cui un'ombra minacciosa si avvicina, per tutto oscurare, utilizzando la sua crudeltà per soddisfare un desiderio di vendetta di cui lui solo conosce il motivo.

L'uomo violento è un'ombra minacciosa, che emerge dal rosso sangue di quest'opera inquietante di Maria Grazia Candiani


Di nuovo la bambola di porcellana di Emanuela Cerutti. Anche in questo quadro la nudità senza particolari sessuali richiama l'annullamento della personalità di questa donna e il rosso evoca la violenza subita. Eppure in questa immagine traspare una serenità, una “cicatrizzazione” del dolore, che porterà senza dubbio a un percorso di rinascita possibile.

Una donna asessuata, come una bambola di porcellana, incrinata dalla violenza


Ora, seguendo una serie di fotografie realizzate da Nero Levrini e che ritraggono i piedi di una giovane ballerina classica, l'ultima parte del percorso, la sua soluzione, attraverso una sorta di rituali di passaggio, come nelle antiche fiabe e che spetta a molte donne, in un modo o nell'altro. 

Ogni bambina porta in sé sogni, desideri. Ogni bambina vorrebbe realizzare questi sogni danzando i suoi giorni, ma per alcune la vita riserva prove non facili e quelle belle scarpette di raso non calcano sempre palcoscenici levigati, inciampano, rotolano lungo sentieri accidentati, strappando così la stoffa e lacerando la pelle della danzatrice.
Eppure lei ode ancora quella musica dei sogni, ritrova il coraggio, ignora il dolore e grida e combatte, combatte ancora, pur sempre con la grazia della danza.
E questa danza liberatoria, nella grande immagine di Naide Bigliardi, segna la fine del percorso della bambina e la sua presa di coscienza come donna completa, che la porta a esigere rispetto, senza più paura, senza più angoscia, senza più subire violenza.
Nessuno potrà più farle del male.

Mai più. 

(Stefania Ferrari)

Il gruppo di artisti. Da sinistra: Naide Bigliardi, Maria Grazia Candiani, Maria Grassi, Emanuela Cerutti e, seduto, Nero Levrini 


Parte del pubblico presente alla inaugurazione