Successo per la giornata inaugurale dell'esposizione collettiva
MAI PIÙ
La violenza sulle donne è una ferita aperta
Molto interesse ha suscitato la mostra collettiva che ha aperto i battenti sabato 5 novembre, in occasione della celebrazione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che cade il 25 novembre.
La collettiva, curata e presentata da Stefania Ferrari, vede cinque artisti, Naide Bigliardi, Maria Grazia Candiani, Emanuela Cerutti, Maria Grassi e Nero Levrini, esporre le loro opere negli spazi dell'hotel Mercure-Astoria di Reggio Emilia.
Da sinistra: Stefania Ferrari, Maria Grassi, Nero Levrini, Emanuela Cerutti, Naide Bigliardi, Maria Grazia Candiani |
Santo
Domingo, 25 novembre 1960.
Tre
sorelle, Patria, Maria e Antonia Mirabal, viaggiano su un'auto, di
ritorno dal carcere in cui sono rinchiusi i loro mariti, rei di
organizzare attività sovversive nei confronti della dittatura di
Rafael Tujillo.
L'auto
viene intercettata, fermata. Le occupanti fatte scendere e portate a
forza in una sperduta piantagione di canna da zucchero.
Lì
vengono brutalmente uccise. A bastonate. Poi caricate di nuovo
sull'auto, che viene spinta in un dirupo, per simulare un incidente.
La
verità verrà comunque a galla, determinando l'innesco per lo
scoppio di una rivolta, che determinerà la caduta del dittatore.
Le tre sorelle Mirabal |
Per
ricordare la morte di queste donne, simbolo di tutte coloro che
vengono ogni anno uccise, è stato scelto il 25 novembre come
giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
In
occasione di questa giornata, questa mostra d'arte collettiva è
stata intitolata Mai più (la violenza contro le donne è una
ferita aperta).
Mai
più.
E' da credere che questa affermazione sia alquanto utopica, o
almeno lo sarà per parecchi decenni ancora. Tuttavia, per molte
donne l'arrendersi equivarrebbe al morire lentamente, quindi le
iniziative e gli appelli, in ogni modo possibile, continueranno sino
a che la violenza e gli abusi sulla popolazione femminile, ovunque si
trovi e di qualunque condizione, non saranno cessati e verrà
riconosciuto uno stato di diritto, uguaglianza e rispetto per ogni
essere umano.
Non
a caso si è usata l'espressione “esseri umani”, perché per
oltre cinquecento anni, secondo il cristianesimo, le donne non
avevano neppure un'anima. In questo senso erano in tutto e per tutto
assimilabili alle bestie.
Inculcare
quindi nella morale comune, e nella legge, il concetto di donna come
essere umano, non è stato immediato. A quanto pare questo processo
non è finito e la strada da fare è ancora molta.
Se
siamo in questa situazione nel mondo occidentale e sedicente civile,
figurarsi come vadano le cose per le donne che abitano in nazioni con
religioni e culture più restrittive e fallocentriche della nostra.
Stupri, uccisioni e abusi di ogni genere, dalla vergogna delle spose
bambine alla costrizione alla prostituzione, l'elenco sarebbe
lunghissimo.
Da
notare, sempre a proposito di donne e bestie, la bufala che qualche
settimana fa circolava in rete, ovvero che l'Isis avrebbe ordinato lo
sterminio dei gatti. L'intero popolo web è insorto, indignato più
che mai, tanto che la notizia è arrivata anche ad alcune testate
autorevoli, che l'hanno ritenuta autentica e rilanciata.
Ebbene,
alcuni mesi fa, in giugno, diciannove donne, perlopiù giovani, sono state
arse vive perché si erano rifiutate di divenire oggetto sessuale dei
miliziani. La notizia è balzata appena all'occhio e ben poca
indignazione ha sollevato la cosa. E' evidente, nulla togliendo ai
felini, che la sorte di quelle donne, morte realmente, abbia scosso
le coscienze molto meno della possibile eliminazione, fittizia, dei
gatti.
Qui
ci fermiamo per non polemizzare oltre e illustriamo dunque questa
mostra, che non è fine a se stessa, come semplice esposizione di
opere da ammirare per la loro bellezza, perché queste hanno un
preciso significato e un messaggio importante da gridare, in tutta la
sua potenza.
Sì
è scelto di creare un percorso illustrativo che ponesse l'accento
sulla forza e non sul solo essere vittima.
Le
donne piangono, perché sono umane, ma hanno spesso una forza
interiore insospettabile e un desiderio di reagire e ricominciare a
sperare che sembrerebbe contro ogni logica.
Ci
sono quattro diversi cammini, che raccontano quattro diverse storie.
Il
primo, un video realizzato da Maria Grassi, che dura circa 15 minuti,
diviso in due tempi. Nel primo, la storia delle donne di una intera
famiglia nell'arco di un secolo (1860 – 1960), attraverso immagini
fotografiche e passaggio di frasi e parole, legate allo scorrere
degli anni e all'evolversi della loro vita.
Il
secondo tempo vede invece come protagoniste alcune dive
hollywoodiane, che spesso nascondono la loro fragilità e vite
sovente segnate dalle difficoltà, dietro luci e sorrisi.
Sulla sinistra, il video realizzato da Maria Grassi, primo dei quattro percorsi espositivi |
Il
percorso successivo è rappresentato da una serie di opere
fotografiche che prende l'avvio da quadri più luminosi, come
quelli di Naide Bigliardi, per giungere a rappresentazioni più cupe,
vagamente gotiche, di Emanuela Cerutti, passando da Maria Grazia
Candiani e Maria Grassi.
Naide
Bigliardi ha scelto il bianco e quindi la luce, perché essa è la
vera forza delle sue protagoniste, che possono non avere volto.
Perché la loro integrità è stata violata. Perché senza volto sono
tutte le donne la cui personalità è stata rubata o distrutta, ma la
luce in loro non si è mai spenta, nemmeno se sono prigioniere, in un
velato cono d'ombra, che impedisce la fuga verso la libertà di corpo
e di pensiero. Il loro mondo può essere stato capovolto, ma sempre
troveranno un aggancio, un aiuto insospettabile per poter riemergere.
Le opere di Naide Bigliardi, che ha scelto la luminosità del bianco per esprimere la speranza |
Le
immagini di Maria Grazia Candiani sottolineano invece alcuni
particolari del corpo femminile, soprattutto i capelli, che
rappresentano una fiamma inesauribile, un'arma contro la
sopraffazione e contro la tristezza e l'abbattimento. Qui la donna è
un unicum con la natura, da sempre le appartiene e ne segue i
ritmi ancestrali e a lei torna, per trovare conforto e coraggio. La
natura non le chiede di essere diversa da ciò che è, perché
sarebbe come negare l'essenza stessa del mondo.
Una delle immagini di Maria Grazia Candiani, in cui le parti del corpo femminile ritrovano unità a contatto con la maternità della Natura. |
Maria
Grassi ha immagini più materiche, più colme, che sembrano più
vicine alla vita caotica delle città. Sono murales, sono le donne
nascoste dietro i muri delle case, quelle le cui storie non emergono
se non, spesso, quando è troppo tardi. Dietro quei vetri in
frantumi, si nascondono vite anch'esse in frantumi e con gli sguardi
chiedono aiuto, senza poter proferire parola, ammutolite come sono
dal terrore. Eppure anche qui la resa non è concessa, non è proprio
contemplata, perché le mani, magari di altre donne come loro, si
tendono e nell'aiuto reciproco ci si risolleva. Le mani dunque, come
emblema di rinascita e speranza.
I quadri materici di Maria Grassi: come murales, raccontano storie di donne |
Sono
splendide bambole tristi, invece, le protagoniste delle immagini di
Emanuela Cerutti. Nella loro perfetta bellezza ci sono crepe, come
nella porcellana che ha subito colpi, urti, cadute, capitate tra le
mani di un bambino capriccioso e che si è presto annoiato di quel
giocattolo, ritenendolo inadatto a passatempi virili. Eppure queste
bambole attendono, con rassegnazione, un gesto d'amore, perché non
comprendono tanto odio, tanta violenza verso di loro che, invece,
hanno amato e ancora, nonostante tutto, amano. Sono figure tragiche,
la cui salvezza rimane nell'acquistare consapevolezza del proprio
valore come persona.
Le bambole tragiche di Emanuela Cerutti: donano amore anche dopo la violenza |
Abbiamo
poi il terzo percorso, l'angolo rosso, colore il cui significato è
chiaro a tutti.
L'installazione di Nero Levrini, unico artista uomo
presente in questo consesso tutto al femminile, dimostra una
particolare sensibilità, estremo rispetto e comprensione del
fenomeno.
Nella
sua installazione, le scarpe rosse, oggetto ormai emblema della
violenza verso l'universo femminile, le catene e visi di donne con
evidenti segni di abusi, sono la base di un messaggio molto chiaro di
quale sia l'argomento cui si riferisce.
L'installazione emblematica di Nero Levrini |
Un'altra
opera di Maria Grassi non ha necessità di molti chiarimenti: la mano
aperta chiede, impone, un “fermo”, un “mai più”, da parte di
questa donna in primo piano, con gli occhi chiusi, per non vedere
ancora una volta il suo aggressore, in una estrema difesa.
No! Sembra gridare il gesto di quella mano, nella fotografia di Maria Grassi |
Rosso
profondo, come il sangue versato, nell'opera di Maria Grazia
Candiani, in cui un'ombra minacciosa si avvicina, per tutto oscurare,
utilizzando la sua crudeltà per soddisfare un desiderio di vendetta
di cui lui solo conosce il motivo.
L'uomo violento è un'ombra minacciosa, che emerge dal rosso sangue di quest'opera inquietante di Maria Grazia Candiani |
Di
nuovo la bambola di porcellana di Emanuela Cerutti. Anche in questo
quadro la nudità senza particolari sessuali richiama l'annullamento
della personalità di questa donna e il rosso evoca la violenza
subita. Eppure in questa immagine traspare una serenità, una
“cicatrizzazione” del dolore, che porterà senza dubbio a un
percorso di rinascita possibile.
Una donna asessuata, come una bambola di porcellana, incrinata dalla violenza |
Ora,
seguendo una serie di fotografie realizzate da Nero Levrini e che
ritraggono i piedi di una giovane ballerina classica, l'ultima parte
del percorso, la sua soluzione, attraverso una sorta di rituali di
passaggio, come nelle antiche fiabe e che spetta a molte donne, in un
modo o nell'altro.
Ogni bambina porta in sé sogni, desideri. Ogni
bambina vorrebbe realizzare questi sogni danzando i suoi giorni, ma
per alcune la vita riserva prove non facili e quelle belle scarpette
di raso non calcano sempre palcoscenici levigati, inciampano,
rotolano lungo sentieri accidentati, strappando così la stoffa e
lacerando la pelle della danzatrice.
Eppure
lei ode ancora quella musica dei sogni, ritrova il coraggio, ignora
il dolore e grida e combatte, combatte ancora, pur sempre con la
grazia della danza.
E
questa danza liberatoria, nella grande immagine di Naide Bigliardi,
segna la fine del percorso della bambina e la sua presa di coscienza
come donna completa, che la porta a esigere rispetto, senza più
paura, senza più angoscia, senza più subire violenza.
Nessuno
potrà più farle del male.
Mai
più.
(Stefania Ferrari)
Il gruppo di artisti. Da sinistra: Naide Bigliardi, Maria Grazia Candiani, Maria Grassi, Emanuela Cerutti e, seduto, Nero Levrini |
Parte del pubblico presente alla inaugurazione |